Capitolo 2.10 de Il Maestro di Bottega
– Dopo la pausa Mimmo propose a Matteo di riprendere un argomento che il giorno prima era stato rimandato: quello della Catena dei 3. Presa una matita fece un disegno per aiutarsi nella spiegazione :
«Questa che ho appena disegnato è una rappresentazione della Catena dei 3 che lega il Direttore Vendite, me e, attraverso me, ciascuno dei miei Venditori.»
Una catena niente affatto impressionante – pensò Matteo guardando lo schizzo che Mimmo aveva appena fatto. Ma non lo interruppe.
«Il ruolo chiave della Catena è l’anello centrale. Chi occupa questa posizione deve contribuire a definire e condividere gli obiettivi individuali coi propri Collaboratori, verificare che questi obiettivi siano coerenti con la strategia della Bottega e infine verificare che gli obiettivi siano accettati dal suo Capo.» E si rivolse a Matteo, come per chiedergli se era tutto chiaro.
«Tutto OK, finora…» lo tranquillizzò Matteo.
«Allora ritorniamo alla catena che ho appena disegnato, il nostro esempio» riprese Mimmo. «Io discuto preliminarmente gli obiettivi individuali con ciascuno dei miei Collaboratori e verifico la congruenza con la strategia della Bottega. Una volta che tutto quadra, posso portare questi obiettivi al mio Capo.»
«Ovviamente» aggiunse Mimmo «tutti gli altri Capi delle Botteghe di terzo livello fanno esattamente la stessa cosa che ho appena descritto, nelle loro Botteghe.»
«Quindi» lo interruppe Matteo «il processo di definizione degli obiettivi parte dal basso, dai Capi delle Botteghe di terzo livello?»
«Questa è una bella domanda» esclamò Mimmo. «Se sapessi risponderti saprei anche se è nato prima l’uovo o la gallina!»
Matteo lo guardò in modo interrogativo.
«Il processo può partire dal basso, ma può benissimo essere sollecitato anche dall’alto, dalla Direzione Generale» chiarì Mimmo. «Sicuramente però, indipendentemente da dove si parte per definire gli obiettivi, questi sono considerati solo come proposte iniziali su cui avviare il dialogo ed il confronto, non come dati immodificabili.»
Matteo annuì, come per dire a Mimmo che poteva proseguire.
«La fase successiva è esattamente eguale a quella che ho appena descritto, solo che questa volta i responsabili sono i Capi delle Botteghe di secondo livello…» e fece un altro disegno, con un esempio di un’altra Catena dei 3
«Ma siamo già arrivati al Direttore Generale!» osservò Matteo, con sorpresa.
«Eh, già» concordò Mimmo «quando i livelli sono pochi si arriva molto rapidamente al vertice. Hai appena toccato con mano uno dei vantaggi dell’applicazione della Regola del 7 e della Catena dei 3!»
Matteo fece un altro cenno, e Mimmo, rassicurato che Matteo lo stava seguendo, continuò dicendo: «Il Direttore Generale deve, a sua volta, verificare che gli obiettivi proposti dai suoi Collaboratori diretti, i Capi Bottega di secondo livello, siano compatibili con gli obiettivi aziendali, dei quali risponde al consiglio di amministrazione, ai soci e a tutte le altre parti interessate…»
«E se questa verifica non dà esito positivo?» chiese Matteo.
«Allora il Direttore Generale propone le modifiche da fare ai suoi Collaboratori che, a loro volta, a cascata, ne riparlano nell’ambito delle loro Botteghe, e così via…»
«Quindi» concluse Matteo «la definizione e l’armonizzazione degli obiettivi è un processo a ciclo chiuso. Sia che si parta dal basso che dall’alto, il requisito fondamentale è che si ritorni comunque al punto di partenza, compiendo un intero ciclo.»
«Bravo, questo è proprio quello che avviene, in pratica!» disse Mimmo visibilmente soddisfatto.
Dopo qualche attimo di riflessione Matteo osservò: «Mi sembra che la parte più critica del ciclo che mi hai appena descritto sia l’accordo sugli obiettivi. Voglio dire, potrebbe succedere che il Direttore Generale ritenga che le proposte ricevute da uno o più dei suoi Collaboratori siano per così dire, di basso profilo, poco stimolanti. O viceversa che la Direzione Generale proponga obiettivi che i suoi Collaboratori ritengano difficili, se non impossibili da raggiungere, … non so se riesco a spiegarmi…»
«Eccome!» convenne Mimmo. «Un accordo richiede sempre un dialogo, un confronto e una mediazione tra interessi non sempre convergenti. Ma il tutto avviene nell’ambito protetto della Bottega, dove la qualità delle relazioni umane tra i componenti e la loro abitudine a lavorare in gruppo con onestà intellettuale sono un terreno fertile su cui l’accordo germoglia facilmente.»
«E cosa succederebbe se il terreno non fosse abbastanza fertile, e l’accordo comunque non germogliasse?» insistette Matteo. «Ossia cosa succede se un Collaboratore e il suo Capo non riescono, malgrado tutto, a mettersi d’accordo?»
«La tua è una domanda importante» osservò Mimmo. «In questo caso ci sarebbe una Condivisione Forzata sulla proposta del Capo!»
«Ma la condivisione forzata è una forma di sopraffazione del Capo nei confronti del suo Collaboratore, è un neo del sistema…» sbottò Matteo con slancio, pentendosi però subito della foga con cui aveva fatto quella esclamazione.
Mimmo sorrise a quello slancio giovanile e riprese con calma. «Vediamo se riesco a dimostrarti che non è come pensi, che non c’è nessuna sopraffazione.»
Matteo si dispose ad ascoltarlo con molta attenzione.
«Nella nostra azienda il Capo ha a propria disposizione, oltre a tutte le informazioni dei suoi Collaboratori, anche quelle che gli servono per svolgere il proprio lavoro. Quindi, per definizione, il Capo ha a sua disposizione più informazioni di quelle possedute da ciascuno dei suoi Collaboratori.»
«Certo» ammise Matteo «se entrambi avessero le stesse informazioni ci sarebbe una coincidenza di ruoli, il che non può essere.»
«Quindi» continuò Mimmo «il Capo ha il dovere di mettere a disposizione del proprio Collaboratore tutte le informazioni che gli servono per far bene il suo lavoro, ma questo non significa che il Collaboratore abbia il diritto di sapere tutto quello che sa il suo Capo.»
«Penso di capire, adesso» esclamò Matteo quasi per scusarsi. «Mi stai dicendo che il Collaboratore deve essere disposto ad accettare una condivisione basata anche su informazioni che possiede solo il suo Capo, ma anche che, dall’altra parte, il Capo deve essere disponibile a dare al suo Collaboratore tutte le informazioni aggiuntive che lo possano aiutare ad accettare quella condivisione?…»
«Proprio così. D’altronde ogni Capo, a sua volta, deve portare a conoscenza del suo diretto superiore tutte le mancate condivisioni di obiettivi con i propri Collaboratori. La condivisione è un interesse comune. Se questa non avviene, sia il Capo che il suo Collaboratore si mettono in cattiva luce…»
«Quindi il sistema “spinge” verso il basso della Catena dei 3 la risoluzione dei problemi relazionali» pensò ad alta voce Matteo «incentivando la disponibilità di tutti e non l’intransigenza!»
«E’ proprio così. In prima approssimazione si applica il principio che l’eventuale forzatura può avvenire sulla base delle conoscenze del Capo, che sono, per definizione, maggiori di quelle del suo Collaboratore, in quanto ricopre un ruolo di maggiore responsabilità. Ma il Capo deve stare molto attento alle forzature perché, a sua volta, ne deve rendere conto al suo diretto superiore…»
«Mi devo ricredere» dichiarò Matteo onestamente. «Ritiro la mia affermazione che la condivisione forzata è una sopraffazione! … Ma capita spesso di dover forzare una condivisione?»
«Molto raramente, negli ultimi tempi» lo tranquillizzò Mimmo. «Accadeva più spesso qualche anno fa quando abbiamo iniziato ad applicare l’attuale sistema di gestione.»
«E a cosa è dovuta la diminuzione?» incalzò Matteo, la cui curiosità non era evidentemente ancora del tutto soddisfatta.
«Beh, in primo luogo direi che sono migliorate le capacità di mediazione dei Capi Bottega, che col tempo hanno imparato ad interpretare al meglio il proprio ruolo…»
«…e in secondo luogo?…» insistette Matteo.
«…in secondo luogo» concluse Mimmo pacatamente «alcuni dei Collaboratori più intransigenti, quelli che generavano questo tipo di problemi, non lavorano più qui da noi! L’intransigenza è incompatibile con l’armonia!…»
Capitolo 2.10 de Il Maestro di Bottega
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