Capitolo 2.12 de Il Maestro di Bottega
– «Ciao mammina, mi hai comprato il giocattolo?» scherzò Matteo salutando Erika che lo stava aspettando all’uscita dall’ufficio.
Erika rimase allo scherzo e fece il broncio. «Sei un ingrato … Invece di apprezzare il sacrificio che faccio per venirti a prendere…»
Poi si misero a ridere entrambi e si salutarono per davvero con un bacio.
«Non vedevo l’ora di rivederti…» sospirò Erika dopo essersi ripresa dal saluto.
«Anch’io … ho un mucchio di cose da raccontarti. Oggi abbiamo parlato di te!»
«Di me?!» Erika era stupita. «Spero che tu sia rimasto sul vago, senza scendere in particolari…»
Matteo sorrise. «Stai tranquilla, abbiamo fatto l’esempio di quando ti accompagno in discoteca, anche senza averne troppa voglia.»
Erika lo guardava ancora più stupita. «E quando sarebbe successo, questo?»
«Beh, qualche volta. Sai bene che non sono un patito della discoteca!» rispose candidamente Matteo.
«Vuoi dire che mi accompagni di malavoglia, in discoteca?» chiese Erika come se ne accorgesse solo allora.
Matteo si era reso conto di aver fatto una gaffe. «No, no … non sempre, solo qualche volta, quando sono stanco» aggiunse precipitosamente, per metterci una pezza.
«E perché non me l’hai mai detto?» chiese Erika, con un tono di amorevole rimprovero nella voce.
«Perché farei di tutto, per accontentarti …» recuperò Matteo.
«Non devi più farlo, altrimenti non avrei più il coraggio di chiederti di andare in discoteca!» esclamò Erika.
«E’ esattamente quello che mi ha detto anche Mimmo.»
«Ancora questo Mimmo!…» E continuò: «Comunque mi fa piacere sentire che Mimmo non ti parla di organizzazione aziendale tutto il giorno, ogni tanto fate delle pause…»
«Beh, non proprio, l’esempio della discoteca serviva a chiarire il concetto che non devo mai fare lo “yes man” in azienda!»
«Vuoi dire che così come non mi devi mai accompagnare in discoteca solo per farmi piacere, anche in azienda non devi mai dire di sì al tuo Capo, tanto per fargli piacere?»
«Esattamente! O meglio…» si corresse subito Matteo contento di avere una risposta che salvasse l’immagine del suo Capo «…Mimmo mi ha detto che con te posso fare come voglio, ma in azienda non devo assolutamente fare lo “yes man”!»
Strano – pensò Erika – che un Capo avesse diffidato un suo collaboratore dal fare lo “yes man”. Papà era circondato da “yes man” e la cosa non sembrava disturbarlo affatto, anzi forse gli faceva piacere perché era un segno tangibile del suo potere. Ma non disse nulla e chiese: «E come siete arrivati a parlare di “yes man”?»
«Ci siamo arrivati considerando che quando un Collaboratore dichiara la sua condivisione con gli obiettivi aziendali, lo deve fare in modo convinto e spontaneo, non per far piacere al suo Capo.»
Adesso Erika aveva capito perché l’azienda di papà era piena di “yes man”: perché nessuno avrebbe avuto il coraggio di dirgli di non essere d’accordo. E aggiunse: «Sai, ieri sera ho pensato a lungo al vostro sistema di lavoro che mette insieme il profitto dell’azienda con il rispetto delle persone. Quello che mi hai appena detto è un’altra prova del rispetto che l’imprenditore ha per i suoi collaboratori. Ma mi sto domandando perché l’imprenditore dovrebbe rinunciare a tutti i suoi privilegi, in favore di altri. Voglio dire, ha senso?»
«Perché la gestione tradizionale di un’azienda, basata sul comando e controllo dell’imprenditore, andava bene in passato, quando le informazioni non circolavano con la rapidità e la facilità di adesso» rispose Matteo.
«Vuoi dire che questo modello non è più applicabile?» chiese Erika, allarmata.
«No, non volevo dire questo» la tranquillizzò Matteo con un sorriso. «Questo modello continuerà ad essere applicato ancora a lungo. Però le aziende che continueranno ad applicarlo probabilmente diventeranno sempre più vecchie e decrepite, come molti dei castelli medioevali diroccati che vediamo sulla cime delle nostre colline…»
«Però non deve essere facile, per un imprenditore, decidere di rinunciare ai suoi privilegi…» esclamò Erika, pensando ovviamente a papà ed alla sua azienda, che era tutta la sua vita.
«Ne sono convinto anch’io. La domanda vera non è se farlo o meno, ma cosa succede se non lo si fa. Probabilmente non succede nulla di irreparabile, almeno per qualche tempo, ma poi?»
«Esistono almeno delle precauzioni che l’imprenditore possa adottare, per evitare che la perdita del suo potere gli si possa ritorcere contro?» chiese incuriosita Erika.
«Certo! Ne abbiamo parlato proprio oggi» rispose Matteo «sono le Catene…»
La risata cristallina di Erika interruppe Matteo. «Beh, questo papà lo capirebbe benissimo. Penso che sarebbe anche disposto a rinunciare al suo potere assoluto se potesse incatenare i suoi Collaboratori. Ma scusami, sono sicura che l’idea non è questa…»
«Infatti…» aggiunse Matteo ancora serio «…le catene sono il simbolo di un vincolo molto forte che lega tutti i Collaboratori. E’ un vincolo liberamente assunto, basato sulla condivisione di strategie ed obiettivi aziendali.»
«Quindi un’assunzione di responsabilità, una motivazione personale ad operare tutti insieme come una squadra.» aveva considerato Erika ad alta voce.
«Proprio così» concluse Matteo. «Una volta raggiunto l’accordo con il Capo diretto, da parte di ciascun collaboratore, ognuno sa di essere d’accordo anche con il suo capo supremo, perché sono tutti legati da quella catena di cui stiamo parlando.»
«Questo spiega l’avversione del tuo capo verso gli yes man, che potrebbero minare, con la loro falsa condivisione degli obbiettivi, la solidità di tutta la catena. E qui si torna sul concetto dell’onestà intellettuale..»
« Direi proprio di sì. Senza quella tutto il sistema dell’azienda non potrebbe reggersi in piedi, suppongo.»
«Tutto questo sembra appartenere più ad una confraternita che ad un’azienda» ribatté Erika con tono scherzoso «ma sono contenta di vederti uscire da lavoro con un sorriso che non credo di averti mai visto quando lavoravi nell’azienda di papà.»
«Già, ma ora basta parlare di lavoro.»
«Hai ragione» si riprese subito Erika. «Vieni, ti accompagno in un posticino molto bello di cui mi ha parlato una mia amica. O sei troppo stanco e preferisci andare a nanna?»
«Sarei disposto a stare con te fino a domattina, fino ad un secondo prima di ritornare in ufficio, e lo sai bene…» disse, per tutta risposta Matteo, e arrossì come al solito.
Capitolo 2.12 de Il Maestro di Bottega
Commenti Recenti