La pagella


Capitolo 4.5 de Il Maestro di Bottega

– Matteo aveva proposto ad Erika di riprovare a fare insieme l’analisi “ufficiosa”, prima di quella “ufficiale” che avrebbe fatto con Mimmo la settimana successiva. Avevano già fatto insieme quella precedente ed entrambi erano d’accordo di ripetere l’esperienza. Entrambi volevano continuare a condividere anche l’aspetto lavorativo della loro vita, oltre a quello personale ed affettivo. Così Matteo era passato a prendere Erika ed adesso erano seduti nella solita pizzeria, quella degli incontri importanti.

Erika iniziò a parlare dell’argomento. «Mi sono messa lo stesso vestito che avevo quando abbiamo parlato per la prima volta della tua strategia; per scaramanzia, visto che allora era andata bene…»

Matteo la guardò, stupito. Aveva già sentito sua madre dire la stessa frase, in altre occasioni. Le donne sembrano ricordare il vestito che indossano in occasione di eventi importanti – pensò.

«Ho notato!» mentì spudoratamente, ma a fin di bene.

Erika sembrò apprezzare e propose: « Allora ordiniamo anche lo stesso menù!»

Matteo tirò un sospiro di sollievo. Quello se lo ricordava bene anche perché nelle occasioni “serie” il menù era sempre lo stesso: pizza margherita con coca cola e pizza alla diavola con birra. Invariabilmente il cameriere serviva la margherita e la coca ad Erika e la diavola con birra a Matteo e invariabilmente loro si scambiavano i piatti e le bevande sotto gli occhi sorpresi del cameriere.

«Cominciamo?» propose Erika, che sembrava più impaziente di Matteo.

«OK, cominciamo» annuì Matteo, proponendo per gioco uno scambio di ruolo. «Tu fai me, ed io faccio te.»

Erika sembrò eccitata dall’idea e cominciò a parlare cercando di fare la voce grossa, da uomo. «Dunque … l’ultima volta eravamo arrivati a concludere che io sono un pantofolaio, d’accordo?»

«D’accordo!» ammise Matteo, anche se la cosa lo disturbava un po’.

«Per carità» continuò Erika sempre con voce maschile «non c’è niente di male. Ci sono gli amanti dell’avventura e gli amanti della quotidianità. Si può diventare eroe anche nella quotidianità, non solo nell’avventura.»

Matteo fu colpito da quell’affermazione di Erika, non lo stava affatto prendendo in giro, anzi. «Adesso continuo io» disse «perché non vorrei che ti venisse il mal di gola cercando di fare la voce grossa.»

Erika ritornò seria, bevve un sorso di birra e si concentrò su ciò che aveva da dirle Matteo.

«Siccome sono un pantofolaio, Mimmo mi avvicina a casa, per eliminare quello che sembrava essere il mio più profondo motivo di insoddisfazione: la lontananza.»

«In effetti, anche se l’ho conosciuto appena» lo interruppe Erika «più che il tuo Capo, Mimmo mi è sembrato il buon padre di famiglia che si prende a cuore la felicità dei suoi figli…»

«In questi mesi ho analizzato spesso, per cercare di migliorare le mie capacità, quali devono essere le caratteristiche di un buon venditore e ho messo a punto questo concetto…» e qui Matteo prese la biro che teneva in tasca e cominciò a scrivere su un tovagliolo di carta sotto gli occhi attenti di Erika:

 

Attitudini del bravo venditore

Verso l’interno

Disponibilità

Verso l’esterno

Empatia

Coccole

Pazienza

Avventura

 

«Adesso parliamo di queste cinque caratteristiche e tu dovrai darmi un voto da 1 a 10» propose di nuovo Matteo.

Erika era eccitata come una ragazzina.

«Cominciamo dalla disponibilità del venditore verso l’interno dell’azienda. Non è un bravo venditore colui che vende tutto e comunque, ma colui che propone ciò che poi l’azienda riesce effettivamente a consegnare con la qualità ed i tempi promessi. Che voto mi daresti?»

Erika ci pensò un attimo. «Beh, nell’azienda di papà siamo stati poco tempo insieme e mi interessavo di altre cose. Ma conoscendoti, so per certo che non sei uno che scarica sugli altri le responsabilità delle proprie scelte o delle proprie decisioni. Su questo punto ti darei un bel 9, basato sul mio intuito.»

Matteo era d’accordo e passò al secondo punto: l’empatia. Chiarì ad Erika, che gli aveva chiesto aiuto con lo sguardo, cosa intendeva. «L’empatia è una parola che riassume l’attitudine ad entrare in sintonia con il prossimo, a creare buoni rapporti umani, attraverso un comportamento aperto e sereno.»

Erika ci pensò un po’ più a lungo. «Beh, non è che tu sia introverso, ma sicuramente sei riservato e penso che questa tua caratteristica venga alla luce col tempo, quando conosci bene la persona, ma sicuramente non in occasione del primo incontro … Ti darei un 7 di incoraggiamento.»

Anche su questo punto Matteo non poteva che essere d’accordo.

«Delle coccole inizio a parlare io…» Erika riprese l’iniziativa «…perché se vengo a sapere che ti coccoli le tue clienti, ti distruggo, caro il mio bel venditore!»

Matteo aveva sorriso alla gelosia di Erika. Certo Erika stava scherzando – pensò. Ma non ne era poi così sicuro.

«Queste coccole sono tutt’altra cosa…» cercò poi di smorzare Matteo. «E’ l’attitudine a non aggredire il Cliente, a farlo sentire al centro dell’attenzione, viziarlo …  Allora, quanto mi dai in coccole?»

Erika sembrava riluttante a dargli un voto. «Preferirei dartelo in privato, nelle coccole che tu fai a me e non ai tuoi clienti. Ti do 10 per me, e 5 per i Clienti, così coccoli solo me!»

Matteo non aveva insistito. Il 5 che Erika gli aveva dato era uno scherzo più che un voto serio, ma anche così non si discostava molto dalla realtà. Non si sentiva particolarmente bravo a coccolare i suoi clienti.

Era quindi passato alla pazienza. «E’ l’attitudine tendenzialmente illimitata ad ascoltare il cliente, i suoi problemi e a mettersi al suo servizio per risolverli…» aveva spiegato.

«Anche su questo non sei molto forte. Sei disponibile, è vero, ma dopo un po’ che ti assillano tendi a spazientirti, non sei certo portato all’indulgenza verso gli altri specialmente se hai la sensazione che stiano cercando di approfittarsene. Qui ti posso dare solo la sufficienza: un 6.»

Erika mi conosce meglio di quanto credessi – pensò Matteo. E continuò. «Per quanto riguarda l’avventura ne abbiamo già parlato qualche minuto fa e non serve ritornarci sopra: mi do un 3 da solo.»

Erika stava per dire qualcosa per consolarlo, ma Matteo continuò «Non c’è dubbio che ho capito una cosa fondamentale: tra la strada e la scrivania, meglio quest’ultima, centomila volte. Se poi la scrivania è virtuale e mi toglie le scartoffie della burocrazia, ancora meglio quest’ultima, un milione di volte.»

Matteo si sentiva amareggiato mentre guardava la tabella disegnata sul tovagliolo di carta, con a fianco i voti:

 

Attitudini del bravo venditore

Voto

Verso l’interno

Disponibilità

9

Verso l’esterno

Empatia

7

Coccole

5

Pazienza

6

Avventura

3

 

Erika si era accorta dell’amarezza di Matteo e per cercare di risollevarlo gli disse: «Beh, questa è una tabella che contiene delle valutazioni soggettive su attitudini a proposito delle quali abbiamo scherzato un po’. Ma sono i numeri quelli che contano. E mi hai sempre detto che gli obiettivi di vendita li hai sempre rispettati, se non addirittura superati.»

«Già, gli obiettivi…» esclamò Matteo. «Il fatto vero è che mi sono finalmente reso conto di non essere nato per fare il venditore. Avevo idealizzato questo lavoro e solo adesso mi accorgo che la mia è un’ambizione irrealizzabile.»

«Beh, io non sarei così drastica … dopotutto gli obiettivi non ti danno torto, anzi!»

«Ancora questi obiettivi…» esclamò Matteo, alzando il tono di voce senza rendersene conto. «Come posso spiegarti che non è una questione di obiettivi, ma una questione mia personale: ho sbagliato, non sono stato affatto un buon imprenditore di me stesso!»

«E allora cosa intendi fare?» gli chiese Erika, con voce fredda.

«Ne parlerò con Mimmo e gli chiederò di poter fare un tentativo con un altro incarico: non sono nato per fare il venditore.»

«Ma così ti dai la zappa sui piedi…» constatò Erika, con tono di rimprovero. «Cerca di resistere ancora un po’, non ti possono mica rimproverare niente. Poi tra un po’ di tempo vedrai che il problema si risolve da solo, magari si libera qualche posto, ci sarà pur qualcuno che se andrà, e verrà la tua occasione…»

«Non posso farlo!» aggiunse Matteo, spento ma deciso.

«E perché?» chiese Erika con voce quasi stridula.

«Perché non sarei capace di condividere con il mio Capo una strategia e degli obiettivi per il prossimo anno senza esserne profondamente convinto dentro di me.»

«Mi riaccompagni a casa?» chiese Erika, interrompendo di colpo il discorso ed alzandosi di scatto. «Papà non si sente molto bene, e avevo promesso che sarei tornata presto per fargli compagnia.»

Matteo sbiancò. Era una palese scusa per chiudere la serata. Ma non disse niente e, mestamente, l’assecondò.

Durante il ritorno in auto nessuno dei due aprì bocca; tra di loro era calato un silenzio di tomba. Quando furono arrivati, prima di salutare Erika, Matteo le propose: «Ti chiamo domani, per metterci d’accordo.»

La risposta di Erika lo sconvolse. «Chiamami quando avrai finito di combattere la tua battaglia contro i mulini a vento…» e se ne andò.

 

Quella notte il sonno di Matteo fu popolato da incubi: era al banco degli imputati, chiuso in gabbia. Erika era il pubblico ministero e lo accusava con ferocia. Il Commendator Brambilla, il giudice, lo aveva ritenuto colpevole e l’aveva condannato. Allora Mimmo l’aveva trascinato fuori dalla gabbia e lo teneva fermo mentre Luciano lo frustava. “Questo per averci fatto perdere un mucchio di tempo e aver approfittato della nostra generosità” urlava Luciano ad ogni frustata. Poi, improvvisamente, si era aperta una porta ed era entrato Carlo Maria Ferretti, avvolto in un’aureola di luce, e aveva detto: “lasciate stare quel povero ragazzo, dopotutto ha onestà intellettuale.”

Matteo si svegliò di soprassalto, in un bagno di sudore.

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