L’Autonomia


Capitolo 3.9 de Il Maestro di Bottega

…Il lunedì successivo, dopo essersi salutati, Luciano accennò al fatto che Mimmo gli aveva raccontato del colloquio di venerdì sera, dopo la riunione.

Matteo sbiancò. «Ho fatto qualcosa di male?»

«No, no…» rispose Luciano «…però avrei preferito che tu ne avessi parlato prima con me.»

Matteo si scusò. «Ma non era una cosa premeditata, mi è venuta in mente durante la riunione quando ho sentito che il Rappresentante di Milano se ne va. E poi Mimmo mi ha chiesto di fare quattro chiacchiere con lui e così ho detto quello che sai.»

«Ti capisco benissimo…» continuò Luciano «e non voglio fartene una colpa. Ma se la notizia ti aveva colpito, me ne avresti potuto parlare alla fine della riunione, prima che partissi.»

«E’ vero, scusa, hai perfettamente ragione» ammise Matteo, che si stava pentendo della sua impulsività «non ci ho proprio pensato.»

«Io comunque non ti avrei detto niente di diverso da quello che ti ha detto Mimmo» concluse Luciano. «Il concetto di coerenza è uno solo, e chiunque di noi non potrebbe spiegarlo che in un solo modo.»

«Ma allora, scusa, cosa cambia?»

«Cambia solo il modo in cui ci sei arrivato» soggiunse Luciano. «Così come hai agito potrebbe sembrare che tu abbia cercato di scavalcarmi e chiedere una cosa importante direttamente a Mimmo. Stai tranquillo, so bene che non era questa la tua intenzione, ma in effetti le cose sono andate proprio così. Non hai esposto i tuoi problemi al tuo Capo diretto, per primo. Ti sei rivolto direttamente più in alto, come se cercassi un alleato più potente.»

Matteo era avvilito, non avrebbe mai pensato che il suo gesto potesse avere tanti strascichi. «E adesso cosa succede?» chiese timoroso.

«Non succede proprio niente» lo tranquillizzò definitivamente Luciano. «Quello che doveva succedere è già successo: abbiamo fatto entrambi una brutta figura. Non ti sto riprendendo, ma sto solo constatando con rammarico di non aver fatto bene il Maestro e l’Alfiere visto che il mio Ragazzo di Bottega mi ha scavalcato.»

«Come posso rimediare?» Matteo si stava preoccupando.

«Vendendo come un matto!» scherzò Luciano. «Ormai sei pronto per le tue prime visite da solo e quindi per dimostrare cosa hai imparato!»

 

Nei due mesi successivi Matteo ricordò spesso quei colloqui con Mimmo e Luciano. Era stato il suo primo passo falso, e voleva assolutamente che entrambi lo dimenticassero.

D’altronde né Mimmo, né Luciano erano più tornati su quell’argomento e non gli avevano in alcun modo fatto pesare quell’errore.

 

Matteo lavorò così con rinnovato entusiasmo, e vinse subito la paura che aveva provato in occasione della sua prima visita ad un cliente da solo, senza Luciano al suo fianco. D’altronde Luciano lo aveva preparato bene e a lungo, e nelle ultime visite che avevano fatto insieme lo aveva lasciato sempre più fare da solo, intervenendo il meno possibile.

 

Adesso, più acquistava esperienza, più si sentiva padrone di sé stesso. Faceva ancora, occasionalmente, qualche visita insieme a Luciano, soprattutto quelle ai clienti più importanti. Ma avevano ritenuto che fosse più utile trovarsi in ufficio a pomeriggi alterni, per discutere insieme delle loro attività e delle problematiche che dovevano affrontare. Luciano gli aveva lasciato carta bianca per tutto quanto riguardava i rapporti con Mimmo e l’ufficio di Milano, e spesso alle riunioni del venerdì lasciava parlare sempre lui, intervenendo solo quando qualcuno gli faceva una domanda diretta.

Luciano lo invitava spesso a cena a casa sua. Quelle serate, a metà settimana erano molto gradite. Matteo ritrovava quello che gli mancava di più, il calore della casa, la cena in compagnia e l’atmosfera familiare che nessun ristorante poteva offrire. Anche il chiasso e la confusione che creavano i due figli di Luciano lo rendevano allegro, piuttosto che disturbarlo, anche se, da figlio unico, Matteo non era abituato a vedere bambini in giro per casa. E dopo ogni serata a casa di Luciano telefonava ad Erika per raccontarle quanto fosse viva una casa con dei bambini.

 

Così il tempo era letteralmente volato.

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