Carlo Maria Ferretti


Capitolo 6.1 de Il Maestro di Bottega –

Matteo si era accomodato davanti al dott. Ferretti che l’aveva invitato a pranzare con lui alla mensa aziendale. Si sentiva un po’ a disagio, dopotutto era la prima volta che accadeva.

«Mi racconta le sue impressioni del momento?» esordì il dott. Ferretti, per metterlo a suo agio. Era calmissimo, come al solito, e niente nel suo comportamento tradiva l’emergenza del periodo che l’azienda stava vivendo.

Matteo, che si sarebbe aspettato domande più precise, quasi balbettò: «In questo momento, se devo essere sincero, ho l’impressione di essere molto fortunato.»

«Certo, il fatto di essersi trovato al posto giusto e al momento giusto può essere attribuito a una circostanza fortunata, però, se fossi in lei, non sottovaluterei l’esperienza che ha fatto lo scorso anno.»

Matteo aveva riflettuto. In effetti se non avesse avuto l’onestà di parlare del suo disagio a Mimmo e avesse agito con l’ottica personale speculativa in quel momento sarebbe ancora in giro per clienti a fare un lavoro che non gli piaceva. «Mi sono sentito un po’ in colpa…» si era quasi schermito «per averci messo un anno a capire che la vendita non era per me.»

«Capisco, ma quello era il suo sogno di allora e tutti i giovani hanno dei sogni di cui sono molto orgogliosi. E poi non sottovaluti i risultati che ha ottenuto.»

Quello era vero – pensò Matteo. Anche Mimmo gli aveva riconosciuto quei risultati che riteneva ancora più significativi perché raggiunti facendo un lavoro che non lo gratificava.

«Comunque non vorrei parlare del passato» riprese il dott. Ferretti. «Anche se la sua esperienza nel settore vendite non è stata soddisfacente, abbiamo comunque apprezzato le sue qualità come la sua attitudine a maneggiare i numeri, ad analizzare dati contabili e a introdurre degli strumenti di miglioramento dell’efficienza. Quindi l’azienda vuole continuare a scommettere su di lei e la proposta che le ha fatto il Controller ne è una dimostrazione che spero apprezzi.»

«Apprezzo moltissimo e spero di riuscire a fare quello che l’azienda si aspetta da me. La considero la mia sfida per il futuro.»

«Adesso noi tre, lei, il Controller ed io, costituiamo una unità di crisi e il nostro obiettivo è superare questa crisi nel migliore dei modi e nei tempi più brevi possibili, senza venir meno ai nostri principi di gestione.»

«Lei mi sta confermando quello che ho già constatato nel mio primo anno e cioè la disponibilità dell’azienda a far crescere i propri Collaboratori. E’ una cosa rara che non cessa di stupirmi, anche se ormai dovrei esserci abituato…»

Il dott. Ferretti sorrise. «E’ la promessa che le ho fatto quando ci siamo incontrati la prima volta. Non posso che provare piacere nel vedere che lei ha sperimentato e apprezza la coerenza tra le promesse e i fatti.»

Matteo aveva una domanda che moriva dalla voglia di fare direttamente al dott. Ferretti. Pensò di potergliela fare adesso e si espresse con molta franchezza. «Mi può raccontare come è successo che abbia dato le dimissioni un Collaboratore tanto importante come il Direttore Amministrativo? Come ha fatto l’azienda a lasciarselo scappare?»

Aveva appena finito che si era già pentito delle sue parole.

Il dott. Ferretti sorrise di nuovo. Non aveva ritenuto che la domanda fosse impertinente. E la risposta fu molto tranquilla. «Voglio spiegarle, per sua informazione, che nel caso specifico delle dimissioni del Direttore Amministrativo, io ho rinunciato ad una forma di sopraffazione, ad un potere che avrei potuto usare, quello del ricatto…»

«In che senso?» Matteo non capiva.

«Beh, nel senso che avrei potuto offrire un significativo aumento al Direttore Amministrativo. Ma questa sarebbe stata una forma di sopraffazione, comunque, perché sapevo che l’ambizione del Direttore Amministrativo era quella di poter dirigere un’azienda e lui stesso sapeva bene che in questa azienda non avrebbe potuto realizzarla in tempi accettabili.»

«Quindi sia il suo comportamento, sia quello del Direttore Amministrativo è stato coerente con la rinuncia di ciascuno ad utilizzare il proprio potere contrattuale» pensò ad alta voce Matteo.

«Direi proprio di sì» continuò con convinzione il dott. Ferretti. «In questa azienda non è ammessa alcuna forma di ricatto. Il Direttore Amministrativo non mi ha chiesto nessun aumento né io gliel’ho offerto. Lui mi ha manifestato molto onestamente la sua ambizione di dirigere un’azienda, cosa che non riteneva realizzabile qui da noi. E così abbiamo convenuto che la miglior decisione fosse cercare un’altra azienda dove potesse realizzare le sue ambizioni. Mi è ovviamente dispiaciuto perdere un valido Collaboratore, con cui avevo lavorato insieme, fianco a fianco, per molti anni. Ma l’ho aiutato e non ho sicuramente perso l’amico».

Matteo si ricordò del secondo colloquio con il dott. Ferretti quando era pronto a vendere caro il suo potere contrattuale e la sua esperienza acquisita nella precedente azienda. E adesso si rendeva conto di quanto fosse lontano, allora, dall’immaginare che ci si potesse comportare in un modo così sconvolgente, come quello che il dott. Ferretti gli aveva appena spiegato.

«Io l’ho subita questa sopraffazione di cui parla» riprese Matteo. «Quando ho dato le dimissioni, nella mia precedente azienda, mi avevano offerto un aumento di stipendio perché ritornassi sulla mia decisione…»

«Questo non mi meraviglia affatto. La logica di queste aziende è quella di tamponare le crisi, mettendoci una pezza e rinviare il problema il più in avanti possibile. Queste aziende non si pongono nemmeno il problema dell’insoddisfazione dei propri Collaboratori. Sperano semplicemente che questi rimangano perché non trovano nient’altro di meglio.»

«Un atteggiamento speculativo, quindi…» osservò Matteo.

«In questa azienda invece ogni Collaboratore deve stare al posto che gli piace e ogni motivo di insoddisfazione deve essere tempestivamente individuato e risolto dal suo Capo perché in caso contrario porterebbe inevitabilmente ad una grande crisi, prima o poi…»

«Però questo, probabilmente, costringe l’azienda ad affrontare le crisi con una certa frequenza…» azzardò Matteo. Dopotutto anche la sua recente rinuncia a continuare a fare il venditore aveva creato una piccola crisi. Sicuramente più piccola di quella aperta dalle dimissioni del Direttore Amministrativo, ma pur sempre una crisi.

«E’ una scelta. Io personalmente preferisco affrontare tante “mini-crisi” piuttosto che una sola “maxi-crisi”. E’ come scegliere tra totalitarismo e democrazia. Nel regime totalitario tutti gli scontenti vengono soffocati e non ci sono mai crisi fino a quella finale, che inevitabilmente spazza il regime. La democrazia invece concepisce le crisi come evoluzione del sistema; le crisi sono molte ma vengono affrontate e gestite una alla volta e così facendo il modello si consolida nel tempo, anziché indebolirsi…» esclamò quasi filosoficamente il dott. Ferretti.

«Questa scelta quindi minimizza i rischi per l’azienda nel medio lungo termine…» osservò Matteo.

«Certamente, anche se questo ha richiesto una ridefinizione delle modalità di inserimento e di formazione del nuovo personale che entra in azienda. Modalità che lei ben conosce. Ma non è stata una cosa realizzata in breve tempo…»

«Ma queste modalità sono anche compatibili con il profitto?» chiese ancora Matteo quasi per avere una conferma.

«Purtroppo queste modalità di gestione massimizzano nel breve più il valore dell’azienda che il profitto. Solo nel medio termine si ha la massimizzazione sia del valore che del profitto» asserì il dott. Ferretti.

«Ma lascio a lei i conti economici, dato che nella sua nuova veste di aspirante Controller avrà il modo di verificarlo!»

Matteo rimase a lungo in silenzio, ripensando a quel colloquio che lo aveva motivato e caricato più di quanto avesse potuto immaginare e, alla fine del pranzo, ringraziò il dott. Ferretti con una calorosa stretta di mano per la testimonianza di fede in un ideale di imprenditoria etica che aveva appena ricevuto.

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