“Il Maestro di Bottega” Parte 1.2 – Il Ponte Levatoio


Capitolo 1.2 de Il Maestro di Bottega

– Tre settimane dopo la sua laurea, Matteo era seduto nell’anticamera del Commendator Brambilla, titolare della Brambilla S.p.A. L’attesa era più lunga del previsto e Matteo, per ingannare il tempo, aveva ripensato alla sua recente vacanza nei Caraibi, la prima vera vacanza dopo gli anni del liceo. Per una settimana intera l’unica attività era stata il divertimento con gli amici. Non gli sembrava vero potersi alzare, ogni mattina, senza impegni e, soprattutto, senza pensieri.
Poco prima di tornare, in una delle telefonate fatte per tranquillizzare i suoi, suo padre gli aveva anticipato che il titolare di un’azienda lo voleva incontrare; ne avrebbero parlato con calma al suo rientro. La notizia aveva riempito Matteo di speranza, dopotutto molti dei suoi amici, già laureati da qualche tempo, stavano ancora cercando il primo lavoro.
Al rientro, il padre gli aveva chiarito che era riuscito a fissargli un incontro con il Commendator Brambilla, titolare della Brambilla S.p.A. Conosceva da anni il Commendatore e la Brambilla S.p.A. era un’azienda solida che operava nel settore dell’industria del mobile, con una cinquantina di dipendenti.
E così, eccolo lì nell’anticamera del Commendatore.

L’attesa si stava protraendo. Per fortuna Matteo era allietato dalla presenza della segretaria del Commendatore, una ragazza mora con grandi occhi neri, e un fisico da modella che la minigonna e le scarpe coi tacchi piuttosto alti esaltavano. Aveva un fare molto gentile, ma fermo. Era giovanissima, poteva avere al massimo vent’anni – aveva pensato Matteo – e doveva anche essere molto brava se, così giovane, era già la Segretaria personale del Commendatore. Gli era venuto in mente anche un altro pensiero, meno innocente, ma l’aveva scacciato. Avrebbe scambiato volentieri qualche parola con lei, ma la ragazza continuava ad andare avanti e indietro dallo studio del Commendatore portandogli documenti, fax, facendo fotocopie e passandogli le telefonate. Non aveva un attimo di tregua. Aveva sentito che il Commendatore l’aveva chiamata Erika; anche il nome, come tutto il resto, era splendido.
Matteo fu distolto dalla contemplazione di Erika quando si aprì la porta dello studio del Commendatore. Ne uscì una persona che lo fissò con intensità, quasi volesse fargli una radiografia. Matteo provò un forte disagio, mentre si alzava. Ma Erika, con fare dolce ma che non ammetteva repliche, l’aveva bloccato pregandolo di attendere ancora un istante. Il Commendatore doveva vedere prima un’altra persona, poi l’avrebbe ricevuto. E Matteo, rassegnato a quella ulteriore attesa, risprofondò nella poltrona.
La persona che la segretaria aveva avvisato al telefono arrivò di corsa, e anche se andava chiaramente di fretta aveva nondimeno fatto in tempo a squadrare Matteo con lo stesso sguardo indagatorio della persona appena uscita. Un’altra radiografia – pensò Matteo avvertendo la stessa sensazione di disagio di poco prima.
Fortunatamente la seconda attesa fu più breve e la porta dello Studio del Commendatore si riaprì poco dopo. La persona appena uscita era sfilata davanti a Matteo, questa volta senza degnarlo di uno sguardo. Ma a Matteo non sfuggi il suo atteggiamento di trionfo, quasi gli volesse far notare e pesare la sua superiorità, visto che gli era passato davanti nella coda.
E così, dopo quasi un’ora di paziente attesa, la segretaria fece entrare Matteo: finalmente il ponte levatoio si era abbassato.

L’ufficio del Commendatore era enorme. Matteo fu colpito dalle fotografie, dagli attestati e dai diplomi che erano appesi alle pareti. Tutto parlava della storia dell’azienda e del suo fondatore.
Seduto dietro una enorme scrivania, il Commendatore scrutava Matteo mentre si avvicinava. Il suo sguardo era corrucciato, indagatorio. Stava cercando di capire quanto potesse valere quel giovane che vedeva per la prima volta. Aveva una sessantina d’anni, leggermente corpulento, come si conviene ad un Commendatore. Il volto era squadrato, la mascella volitiva e gli occhi penetranti. Tutto in lui faceva capire che era un uomo abituato a comandare.
Dopo le presentazioni, il Commendatore aveva immediatamente esordito dicendo che il padre di Matteo, con cui aveva rapporti di lavoro da tanti anni e che stimava moltissimo, gli aveva accennato al fatto che il figlio aveva appena finito gli studi e che era disponibile, anche subito, sul mercato del lavoro.
Poi gli aveva chiesto qualche notizia sul suo conto, e Matteo gli aveva raccontato brevemente di essersi appena laureato con buoni voti in Economia Aziendale e che aveva voglia di iniziare a lavorare. Gli disse che qualunque lavoro gli sarebbe andato bene pur di fare esperienza, e gli consegnò il suo curriculum, quasi vergognandosi perché si rendeva conto che era molto scarno.
Il Commendatore aveva messo da parte il curriculum, senza neanche guardalo, e proseguì dicendo «Qui il lavoro non manca, anche se adesso non mi serve un laureato…» Matteo sentì dileguare le sue speranze «…ma lei è un ragazzo che mi piace, si vede subito che è un tipo serio, che non ha grilli per la testa, che ha voglia di darsi da fare, e poi … conosco bene suo padre … buon sangue non mente!»
E subito concluse «Sono disposto ad assumerla nel nostro Ufficio Vendite. Poi, col tempo, se dimostrerà di essere bravo vedrà che farà anche carriera. Allora? Cosa mi risponde? »
Matteo, frastornato, non riusciva a connettere per la sorpresa, ma si rendeva conto che il Commendatore stava aspettando la sua risposta. Gli uscì un flebile «La ringrazio … Non mi aspettavo una offerta così immediata, ma l’accetto senz’altro! » Pochi secondi prima credeva di aver perso ogni speranza ed adesso si ritrovava addirittura il suo primo lavoro in tasca.
Il Commendatore non perse altro tempo e chiamò Erika, chiedendole di accompagnare Matteo all’Ufficio del Personale, per l’assunzione. Poi si alzò e gli strinse la mano, vigorosamente. Matteo, ancora incredulo, lo ringraziò di nuovo mentre ricambiava la stretta di mano. «Non mi ringrazi, giovanotto, e non dimentichi di portare i miei saluti a suo padre! » Sembrava un ordine – pensò Matteo.
L’udienza era finita.

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